I 90 anni di Abdon Pamich

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Fiume, Trieste, Genova sono tanti specchi d’acqua di un unico mare; per Abdon Pamich rappresentano una delle piccole correnti nel grande fiume della Storia, più nello specifico la sua, che poi piccole non ce ne sono mai, sarebbero tutte indimenticabili, ma nella moltitudine confluiscono le une nelle altre, e molte, troppe finiscono sommerse. La vera lunghissima Marcia di Abdon, dall’ebraico “Servo del Signore” quasi come quella tra i deserti del patriarca Abram, è quella che la visto arrivare ai gloriosi 90 anni cercando di portarsi un nobile fardello sulle spalle, le storie della comunità giuliana-dalmata, per perpetrarle come un passaggio di testimone a una posterità che possa essere più consapevole e auspicabilmente più serena. E per lui che è un grande nome della Marcia, non è l’unico testimone che affida alle generazioni future.

Come ricorda bene Fausto Narducci, “nato da Giovanni (commercialista e direttore di azienda) e da Irene Susanj il 3 ottobre 1933 a Fiume”, I 90 anni compiuti oggi da Abdon Pamich – con quel nome e cognome che per anni sono stati sinonimi della marcia in Italia – rappresentano il compendio di quasi un secolo di atletica ma anche di storia, geografia, politica, evoluzione dei popoli”.

Un rapido e superficiale ripasso: oggi Fiume si chiama Rijeka, è in Croazia, è la terza città per popolazione dello stato slavo dopo Zagabria e Spalato. In primis insediamento illirico, poi caposaldo romano, fu un centro costiero semi indipendente che per tutto il medioevo rivaleggiò con la Repubblica di Venezia, sino a divenire una sorta di ricco porto franco sotto gli Asburgo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, un crogiolo di sculture, etnie, civiltà, che si incontravano lunghe le vie accanto agli sfarzosi palazzi di vari stili che venivano innalzati di anno in anno. Con la Grande Guerra e il crollo dell’Impero Austro-Ungarico, scoppia il dualismo tra gli Italiani, la popolazione prevalente nel contesto urbano, e gli Slavi, più diffusi nel circondario rurale. E quindi tra Regno di Italia e di Jugoslavia. Una forza militare volontaria irregolare guidate da Gabriele D’Annunzio occupò la città, che venne in seguito faticosamente assegnata all’Italia. Ma con la seconda Guerra Mondiale i partigiani socialisti-jugoslavi rioccupano la regione nella primavera del 45’, che viene poi definitivamente loro assegnata nel febbraio del 47’. Un percorso segnato da feroci violenze da entrambe le parti, e che contempla anche i nazi-fascisti.

Pamich nasce perciò quando il territorio è italiano da circa dieci anni, ma trascorsene altri dieci, i suoi primi di vita, la sua prima casa diventa una gigantesca trincea, molto metaforicamente e un po’letteralmente, sebbene resti appena un puntino nel contesto del conflitto globale. E in quel puntino si muovono decine di migliaia di persone, in tanti con un cuore enorme, e un groppo ancora più grande quando sono costretti a lasciare la loro contestata terra.

È il 23 settembre 1947 quando Abdon a 14 anni scappò oltre il confine, ritrovando a Genova una patria e un padre assieme a una nuova casa, ma lasciando quella vecchia oltre lo Stivale e l’Adriatico, assieme alla madre e a due sorelline. Spiega infatti Narducci: “Una fuga dagli spari dei partigiani di Tito e dalle foibe, i salti dal treno e le lunghe camminate in maglietta e pantaloncini insieme al fratello Giovanni (un anno più grande) che dopo un lungo peregrinare fra Milano e Udine lo portò a Novara in un centro profughi”, e quindi sotto la Lanterna, dove ritrovò il Babbo.

Fonte: Wikipedia Commons

Qui comincia una nuova corrente, ascendente, e una Marcia trionfale per i risultati, non per la comodità. Lo colmano certamente di allori, ma non gli fanno strada per lasciarglieli cingere, deve continuare a superare ostacoli lui che poi passerà testimoni. Sempre e comunque metaforici, perché la sua corsa resta libera, come quella ha sempre desiderato una volta superato il confine. E alla fine che cos’è lo Sport se non la volontà di andare oltre i limiti imposti per la maggior parte degli uomini? Con umiltà e determinazione Pamich allora dimostra di essere un grandissimo sportivo.

Tre podi europei, con l’Oro nel ‘62 oro a Belgrado proprio a in faccia a Tito, tre vittorie ai Giochi del Mediterraneo, 40 titoli italiani, un primato del mondo sui 50.000 metri di marcia in pista (125 giri) con le 4h14’02” stabilite il 19 novembre 1961 in uno stadio Olimpico di Roma gremito, primati su svariate distanze con un record del Miglio nel 1969 al Madison Square Garden. Una volta dopo una gara a Castel Gandolfo è il Papa stesso, Paolo VI, ad annunciare che è lui il vincitore, come premessa dell’Angelus!

Abdon Pamich e gli olimpici di oggi: “Ho visto facce fredde”

Ma per quanti e quali siano i traguardi di gloria che si è messo alle spalle, viene ricordato soprattutto per i suoi inseguimenti: all’Oro Olimpico. Ci prova per 5 volte di fila, a Melbourne nel 56’ è una falsa partenza, tormentato da una preparazione troppo torrida riesce comunque a strappare un quarto posto nella 20 Km; in casa di nuovo a Roma parte troppo cauto e conquista il bronzo; a Tokyo nel 1964 è verso la fine che rischia il passo falso ma alla fine arriva l’Oro. Che non puzza, come insegna Vespasiano, nonostante il probelmuccio occorsogli. Come ha raccontato lui stesso a Repubblica: “In Giappone stava andando tutto per il meglio, quando ad un rifornimento bevo un thè freddo che mi fa venire una crisi intestinale. Per avere un minimo di intimità c’era prevista una stazione al km 35, troppo lontano… Ho provveduto coperto da alcuni addetti del servizio d’ordine. Troppe vicissitudini, la beffa che sembrava dietro l’angolo…” e allora per la gioiosa rabbia da sfogare prese il filo di lana del traguardo e lo spezzò. In seguito a Monaco 72’fu anche portabandiera.

Era un promesso sposo della Boxe, suo zio era allenatore e arbitro. Ha finito per portare in alto i colori della Superba e dell’Italia con un altro genovese d’azione, proprio un grandissimo del ring, Bruno Arcari, più o meno negli stessi anni, anche lui Olimpionico in Giappone, sebbene al pugile non riuscì di andare a medaglia. Studiò da geometra ma sulla scia del fratello si fece allenare da Giuseppe Malaspina, marciatore e allenatore di atletica nato e vissuto a Genova, che scoprì la Marcia durante il servizio Militare a Zara, in Dalmazia, allora italiana, oggi croata, a pochi chilometri da Fiume. Nel 1940 fu selezionato per far parte della Nazionale italiana che avrebbe dovuto partecipare alle Olimpiadi di Tokyo, manifestazione che non si svolse a causa della seconda guerra mondiale. Due correnti nel grande fiume della Storia che si sono incontrate sulla rotta tra Fiume, Trieste, Genova, e da lì marciando assieme di buon passo alla fine sono arrivati assieme in Giappone, sul gradino a cinque cerchi più alto. Complimenti Abdon Pamich, per questi 90 anni di grandissima storia. Ed è dolce perdersi in questo mare.

Federico Burlando

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