Vittorio Adorni: campione per le strade e nelle case italiane

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Vittorio Adorni, vincitore della terza tappa del Giro d'Italia 1965

Fu un ciclista di conservazione di energie e posizioni, fu un uomo di innovazioni, intuizioni e spirito.

Inesauribile. L’intuizione brillante ce l’aveva avuta Sergio Zavoli: nel 1965 Vittorio Adorni vinse il Giro d’Italia, che quell’anno per la prima volta terminava a Firenze. Molto prima di specchiarsi di rosa tinto sui riflessi metaforicamente viola dell’Arno il giornalista per eccellenza del Processo alla Tappa lo voleva come ospite nel programma, testimone diretto e giudice della Corsa di cui sarebbe stato boia. Arrivava a tenerlo lì in un’ora, e il ciclismo che era entrato nel cuore e nelle orecchie degli italiani con le cronache radiofoniche su Coppi e Bartali, e prima ancora su Binda e Girardengo, con Adorni e Zavoli entrava definitivamente nelle loro case, perché era come avere il grande giornalista delle due ruote e un campione simpatico e cortese in salotto, a prendere un caffè. Rigorosamente distillato da una macchinetta Faema, che non era la squadra per cui correva Vittorio nel ’65, quella era la fortissima Salvarani, ma l’aroma deve comunque essere quella del team con cui gareggiò in squadra con Merckx quando questi palesò la sua rivoluzione al Giro del 1968.

La storia di Vittorio Adorni è quella di un uomo che conquistava per il garbo, il sorriso e un’astuzia gentile, che solo sulle strade si faceva cinica. È una storia di numerosi piazzamenti dietro i più grandi, di qualche torto patito di cui non volle mai far pagare lo scotto agli offensori, ma soprattutto di alcune cime irraggiungibili in un percorso che l’ha visto quasi sempre sfrecciare solo per alte vette.

Processo alla Tappa, con noi Vittorio Adorni

La prima è quel Giro del 65’ in cui racconta e si racconta del suo rapporto con la TV: quando quel mezzo era pervasivo ma non invasivo per gli Italiani. Claudio Gregori ha scritto un libro estremamente documentato ma ricco di suggestive allusioni e denso di poesia sul primo giro d’Italia vinto dal cannibale, “Merckx, il Figlio del Tuono”. Quando quel Giro ormai è vinto, e si pensa al Mondiale, verso la duecentesima pagina il nuovo capitolo si intitola “Adorni, un espresso Mondiale”, e coglie Adorni in pieno nell’incipit: “Il ciclista, cresciuto nella pioggia e nel vento, non conosce l’arte sottile ed elegante della conversazione. Adorni sì. Sa trasformare il traguardo in salotto Anche in gruppo sfoggia l’eleganza ineccepibile del cavaliere della caccia alla volpe. Ma, nel segreto del cuore, punta al Mondiale di Imola, che si corre sulle sue strade”.

Del resto Imola è in provincia di Bologna, Adorni era di San Lazzaro Parmense, la Salvarani inizialmente fu costruita anche per dare una rappresentanza su velocipede all’Emilia Romagna e Adorni era il Capitano ideale. Al Mondiale e al Cannibale però ci si arriverà: ora siamo a una tappa precedente, o per meglio dire al suo Processo. Adorni che va in televisione a spiegarla è una gentilezza che verrà poi in seguito generosamente retribuita: la Rai non se lo fa sfuggire e nel 1968 lo ingaggia per condurre il quiz Ciao mamma; gliela fanno pagare più del dovuto. Cominciano infatti a straparlare: “è un ciclista che parla molto e vince poco”, sarà lui a farli rimangiare quanto detto, ma con un sorriso in volto che sa più di perdono che di beffa.

Il rapporto col Cannibale

Arriviamo infatti a questo 1968: Adorni si stacca dalla Salvarani che è in mano all’amico e rivale Felice Gimondi, un enfant prodige della bicicletta tricolore, i due sono destinati ad appoggiarsi in Nazionale ma non si può tarpare le ali al nuovo Campionissimo per permettere di restare in sella ad Adorni che è sicuramente un campione ma va ormai verso i trenta. Il salto alla Faema è però dalla padella alla brace perché lì in squadra c’è Eddie Merckx, che non ha ancora mai vinto una corsa a tappe ma si prepara a farlo.

Dicono in tanti che forse il Cannibale quel Giro lo avrebbe vinto comunque, ma che sono stati i consigli di quello che nella forma era il suo capitano a permettergli di vincere, di non bruciarsi in un assalto tanto spettacolare e generoso quanto sanguinoso e avventato. Adorni gli consiglia di rallentare, di non bruciarsi, di lasciar vincere i propri gregari quando se ne presta l’occasione, di non mortificarli. Se davvero non gli serviranno in quel giro, questi consigli nutriranno più avanti le vittorie del Cannibale. In un romanzo dedicato al Grande Belga, “L’Ombra del Cannibale”, Marco Balestracci gli mette in testa questi pensieri: “Adorni era stato prezioso. Non gli aveva dato consigli per diventare il più forte, in quel momento lo era già, ma lo aveva avvisato di come tutte le energie che albergavano abbondanti nel suo corpo potessero essere banalmente dilapidate per un’imprudenza. In effetti una corsa a tappe condotta ai massimi livelli necessitava di ragionamenti e risparmi che solo un corridore esperto poteva suggerire. Non era salito sulle Tre Cime di Lavaredo con le gambe di Adorni. No. Le gambe erano le sue. Ma probabilmente gli “stai tranquillo…stai calmo…” che l’italiano ripeteva a intervalli regolari l’avevano aiutato a essere così tanto mostruoso su quella salita. Sì. Adorni l’aveva aiutato a essere forte”.

Non era stato il suo Capitano, ma il suo Consigliere.  E Il segreto dietro il segreto di Merckx: si era procurato certe tisane depuranti da un’erboristeria di Savona che consumavano tutte le sere, a un giornalista che aveva chiesto che avevano chiesto da dove provenissero Adorni con felice spirito che gli sarebbe poi ritornato molto utile davanti alle telecamere aveva risposto: “Dalla Mongolia”. E così si diffuse la voce del Cannibale che agli altri lasciava solo la polvere da mangiare perché prima si nutriva dei magici condimenti dell’estremo levante e poi dei chilometri davanti al manubrio. In quel giro comunque Adorni arrivò secondo, rigorosamente davanti a Gimondi che sino a quel momento sembrava dovesse essere il suo grande rivale. La Storia e una certa canzone di Enrico Ruggeri dirà qualcos’altro…

Il Mondiale di Imola

Per i preziosi aiuti forniti al belga a discapito di Gimondi si era preso anche delle accuse di traditore della patria. Ma il 1968 è anche l’anno del Mondiale di cui si è già fatto cenno e di tutte le rivincite: più giri attorno a Imola, al tredicesimo sulla salita del Monte Frassineto Adorni allunga e se ne va da solo. Un tentativo temerario. Mancano 85 Km al traguardo. Due giri dopo è proprio Merckx a provare a riprenderlo, ma Gimondi lo arresta, sono cinque gli italiani a marcarlo strettissimo, un gioco di squadra che ricorda il Catenaccio: nella formazione anche Bitossi, Taccone, Motta e Dancelli. Così, per citare nuovamente Gregori: “L’azzardo si trasmuta in un’avventura smagliante. La strada diventa musicale come una corda di violino.  Duecentomila persone lo incitano. La cavalcata di Adorni è da sogno. Nona veva mai vinto una grande gara in linea. Il Fato, anzi, lo aveva condannato al supplizio di Tantalo. Aveva sfiorato un Mondiale, una Sanremo, una Roubaix, tre Liegi-Bastogne Liegi, un Lombardia. Nelle corse di un giorno era l’artista dell’incompiuta, Ora il Fato gioca ancora con lui. Che scherzo gli prepara?”

Il motore dell’ammiraglia azzurra si spegne, lui fora, ma il CT Ricci aveva mandato avanti la camionetta che segue la testa della corsa con il meccanico Peppino Magni che lo soccorre. La marcia trionfale continua, col commento radiofonico Adriano De Zan che lo affianca in moto e lo intervista minuto per minuto. Vince con un vantaggio di 9’50” su Herman Van Springel e 10’18” su Michele Dancelli.

https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Sport/2008/mondiali-ciclismo/cronaca/adorni-intervista.shtml

Alla redazione della Gazzetta dello Sport Gianni Mura ha il tempo di vedere la reazione della moglie di Adorni giro per giro e incentrare su quello tutto l’articolo della vittoria.

Sarà in seguito nuovamente commentatore, direttore sportivo, presidente del Consiglio del ciclismo, assessore allo Sport del comune di Parma.

Adorni quando lo vedevi partire non sapevi di quanto avrebbe anticipato una sorpresa. Ciclista di conservazione delle posizioni e delle energie, fu un uomo di innovazioni, intuizioni e spirito. Inesauribile. Sino a quando se ne è partito un’altra volta al numero 85: erano i chilometri che mancavano dall’ultimo traguardo il girono del Mondiale di Imola, sono stati gli anni del suo ultimo traguardo terreno, alla vigilia di Natale. Anche stavolta non si è notato quando è partito una volta per tutte, ma solo per quest’occasione nemmeno quando è arrivato: nella leggenda c’era già da tempo, solo ora si è aggiunto anche il ricordo.

Federico Burlando

 

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