Monsieur Roubaix Franco Ballerini al Gala 2006: “La gara che mi ha fatto sognare”

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Il lavoro nobilita, per cui non si dovrebbe mai dire, ad esempio, dei muratori che sono “sporchi” di calce, i pittori di colore, i pizzaioli di farina, e così via. Ne sono ricoperti. Col fango è più difficile non richiamare il concetto di sporco.  Ma, poco dopo il 12° anniversario della morte, di Monsieur Roubaix Franco Ballerini lo si può dire con serenità: era sporco di gloria dalla punta del naso agli scarpini calcati sui pedali, perennemente ed evidentemente inzaccherato della dedizione che ha dedicato prima alla Sua Corsa da ciclista, poi alla sua nazionale da CT. Ha disputato la Parigi-Roubaix ininterrottamente dal 1989 al 2001, anno del ritiro, quando pur arrivando 32° tutto il velodromo della cittadina belga che ospita il traguardo si è alzato ad applaudire; lui, con la signorilità di un Homme Cortois che salutava la sua dama per l’ultima volta, ha svelato la maglietta e un messaggio sotto la divisa di gara: “Merci Roubaix”. È diventata un’immagine iconica delle Due Ruote a pedali.

L’Inferno del Nord la chiamano, ma lui, al Gala di Stelle dello Sport nel 2006, arrivato a premiare in qualità di tecnico della Nazionale, ha raccontato come per lui fosse sempre stato qualcosa di diverso dal vento che ti sferza, il pavé sempre pronto a tradirti, il freddo che ti attanaglia:

“È stata un po’ la gara che mi ha fatto sognare, mi ha fatto iniziare a correre in bici. Fa parte di quei sogni che ogni giovane ha nel cassetto e che spera un giorno di aprire. Io sono riuscito a conquistarla e per me è stato veramente un giorno importante. È una questione di attitudine, per me era molto più difficile una tappa del Giro d’Italia o del Tour de France. La Parigi-Roubaix è una corsa cattiva che ti impegna 7 ore, di lotta, ma questo magico velodromo se riesci a entrare di solo ti toglie la fatica di dosso, è qualcosa di impressionante”

Nella terra dei pittori Fiamminghi con il genio di un paziente artigiano ha trasformato la più dura delle Classicissime in un’opera d’Arte da definire di anno in anno. Voleva vincerla sempre, preparava la stagione in sua funzione. Nel 1993 il francese Gilbert Duclos-Lassalle in volata gli ha soffiato all’ultimo istante la gioia più cercata, ma nel 1995 e nel 1998 il trionfo è stato tutto suo, prima di quel 2001 che è il traguardo più sporco di gloria, amore e passione che potesse sognare per la prima parte della sua vita sportiva.

Scende dalla bici e va subito a dirigere la Nazionale.  Alfredo Martini, CT dal 1975 al 1997, anche lui oggi scomparso, voleva che fosse Ballerini a ereditare il suo retaggio, costituito non solo di successi Iridati e Olimpici ma di un affetto che legava tutto lo Stivale. Come spiegò la penna della Rosea Marco Pastronesi: “Alfredo Martini ha due figlie, Silvia e Milvia. Franco l’ha trovato strada facendo, e non poteva trovarlo in altra maniera, in altro luogo, perché la strada, per Alfredo, e anche per Franco, è stata scuola e palestra, maestra e orizzonte, corsia e banchina, stella cometa. L’ha trovato, cresciuto, adottato, poi istruito ed educato (anche se Alfredo si affretterebbe a precisare che Franco non aveva bisogno di istruzione né tantomeno di educazione, perché era già istruito e ancora più educato, di suo), poi affascinato, sedotto, conquistato. Giorno dopo giorno.”

Ed è stato lo stesso Martini, novantenne, a ricordare con una commossa lettera l’Uomo dietro il campione che, come per fortuna spesso accade, era Campione due volte:

“Franco è il centro dei nostri riferimenti. Ecco perché è sempre insieme a noi, insieme al gruppo, a quel gruppo che lo ha sempre amato ed al quale Lui voleva bene. La società nel suo essere, ha sempre avuto bisogno di gente per bene, lo sport di pilastri come Lui, il ciclismo ancora di più.

Così, rifacendosi agli esempi, abbiamo in Franco un portabandiera, un uomo, che sapeva l’importanza della riflessione prima di prendere delle decisioni importanti per poi agire con fermezza. Un campione nello sport in prima persona, un tecnico fra i tecnici, un galantuomo nella vita di tutti i giorni!… Quante prove di lealtà ha offerto lungo la sua vita terrena, quanti esami di capacità e di maturità ebbe a superare sia da campione come da ammiraglio azzurro!”

I suoi 9 anni da CT, fino a quel tragico 2010 in cui un incidente in un Rally automobilistico lo sottrasse alla vita per tirargli troppo repentinamente la tirata verso la leggenda, sono stati tra i più vincenti della storia azzurra.  Semplicemente infarciti di successi: 4 Campionati Mondiali, di cui 3 consecutivi, con Cipollini, Bellini per due volte e Ballan. Ora a trainare i compagni è lui, si è spinto un po’ più avanti, oltre la gloria, oltre il fango. Oltre la miseria, dove c’è spazio solo per la nobiltà.

Dove non ci sta scritto nemmeno Roubaix ma solo Merci.

Federico Burlando

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