L’Incantesimo senz’età e i 5000 spicchi di vita di Carlo “Charlie” Caglieris, playmaker

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Un playmaker è come un mago, non è mai in anticipo o in ritardo, arriva sempre quando deve arrivare. Ce ne sono però altri che sono come Apprendisti Stregoni: non smettono mai di lavorare per mettere gli altri nelle condizioni ideali per andare a canestro, dentro e fuori dal parquet, verdi assi baciati dal talento ma anche uomini di ogni età ingrigiti e logorati da una vita aspra e avara di possibilità per loro. Col sottile genio dell’incantatore che conosce tutti i trucchi e con la gregaria disponibilità dell’apprendista Carlo “Charlie” Caglieris, inconta si è moltiplicato. Ha vissuto tante vite in una, tutte soddisfacenti e legate alla palla a spicchi, tranne forse una, l’unica incompiuta, quella da stopper del rettangolo verde, lui che era compagno di Bettega nei pulcini della Juventus. Sotto la sua Mole però ha finito per disegnare gli anni più belli che la cronaca cestistica rammenti, prima in campo e poi come dirigente che faceva crescere i giovani e bussava alle porte di tutti gli industriali della città per reperire fondi.

A Bologna, alla Virtus, ma si è fatto apprezzare anche dall’altra parte del “Grande Fosso”, sponda Fortitudo, attendevano solo lui per vincere lo scudetto dopo 20 anni, il suo decisivo 4 su 4 dalla lunetta contro i campionissimi di Varese e andare in finale dell’Eurolega. La Nazionale che lo convocava solo quando era bollito o stagionato attendeva solo lui per vincere l’oro Europeo a Nantes nel 1983 sorpassando Jugoslavia e Urss, reso iconico proprio da un suo bacio al pallone. I carcerati attendevano solo lui, professore ISEF per 50 anni, diplomatosi dando una decina di esami a ridosso di matrimonio e primo tricolore, a portare assieme a un progetto di solidarietà un po’ di basket e speranza nelle prigioni. Oltre alla rassegna continentale, 3 scudetti, qualche altra finale persa nello Stivale e in Europa, quasi 5000 punti messi a segno, e il Mondiale Militare, a Udine, battendo i soldati USA.

È vero, bisogna essere un po’ dei maghi per mettere assieme tutto questo, non solo il palmares da campione, con i vari Meneghin, Dan Peterson e Meo Sacchetti, ma pure le esperienze da insegnante, dirigente e operatore per il sociale, ma è più che sufficiente essere autentici uomini di sport.

Per questo è stato invitato come ospite e di questo ha parlato a Stelle nello Sport in occasione della festa per i 75 anni dell’Unione Stampa Sportiva Italiana

-Lo Sport cosa ha rappresentato per la sua vita a livello di atleta e di uomo?

«È una frase retorica, ma lo sport ti insegna a vivere, i valori civili, soprattutto gli sport di squadra, devi saper stare assieme agli altri. Chi pratica lo Sport impara a rispettare le regole e l’avversario, per la vita che viene dopo»

– 75 anni di Ussi, sicuramente i giornalisti hanno contribuito anche loro a raccontare quella che è la sua storia, eccezionale. Chi si sente di ringraziare più di tutti gli altri?

«Il massimo divulgatore del basket in Italia è stato il grande Aldo Giordani, che attraverso la televisione, le sue prime telecronache, e i quotidiani sportivi e settimanali, dal Guerin Sportivo a Super Basket»

-Il Basket ieri, il Basket oggi, com’è cambiato?

«Tantissimo. Ieri era, anche tecnicamente, molto più lento. Non c’era la linea da 3 punti, era un gioco molto più ragionato. Adesso è molto più veloce, l’inserimento della linea da 3 l’ha fatta diventare spesso l’arma più utilizzata e l’azione di gioco più seguita. Noi nostalgici rimpiangiamo sempre quei vecchi tempi, ma adesso ovviamente è molto più fisico e anche più spettacolare»

-Un suo consiglio a dei giovani che cominciano uno sport e che, indipendentemente da quale sia, vogliono diventare dei Campioni come è stato lei?

«Beh, sai, i ragazzi e le ragazze devono fare sport e non aver paura di sognare. E se poi non riescono a emergere, resta comunque un’esperienza di vita»

 

Intervista di Marco Callai, articolo di Federico Burlando

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