«O cadevo o ce la facevo», Riccardo Rossi è partito da Genova Quarto e ora è 3° in Moto 3

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Se sei di Genova sull’acqua ci sai andare. Poco importa che tra le mani ci sia un manubrio o un timone, o che davanti agli occhi si aprano le storiche curve di Le Mans lustrate da un bacio di pioggia. E dovresti saper andare pure sulle Moto se ti chiami Rossi; Valentino, Massimiliano o Riccardo cambia poco. Il primo, Vale, è di Tavullia, lo sanno tutti, e con la Superba c’entra poco o niente, il secondo ha corso il Campionato Europeo con Biaggi e Capirossi e ha dato i natali al terzo, che è pure il piazzamento con cui ha chiuso domenica nel Gran Prix di Francia di Moto 3.

Sabato pomeriggio in situazioni climatiche critiche aveva saputo fiutare il vento, e andarsi a qualificare per la prima volta per la prima fila nel Mondiale di categoria; il mattino successivo alla partenza ha vissuto momenti di burrasca, ma ha saputo recuperare la barra seduta stante e portare in porto un Bronzo che per un’inflazione emotiva vale più dell’oro e quasi quanto l’Oro del gradino più alto.

19 anni da meno di un mese ma già una lunga storia di probanti sforzi per le due ruote alle spalle, come racconta lui stesso una volta tagliato il traguardo: «Tutti i sacrifici della mia famiglia, miei, del mio team, sono stati ripagati. Voglio ringraziare la mia famiglia che mi sostiene sempre, il team per il grandissimo lavoro svolto, tutti i miei sponsor e soprattutto tutti coloro che mi sostengono. Voglio dedicare questo risultato a Fausto Gresini ed alla mia famiglia, che hanno sempre creduto in me»; anche qualche delusione da mandare giù, soprattutto in questo terzo anno ai vertici, appena un paio di gradini sotto la Classe Regina: «Ogni gara succedeva qualcosa e non abbiamo mai concluso nulla».  Ora però è il momento del tripudio, con due ringraziamenti, ancora a suo padre e al compianto Fausto Gresini, che hanno creduto in lui «più di tutti gli altri, quando le cose andavano male e più nessun altro lo faceva. Questo per me è importante. Adesso sono qui e mi piace tantissimo. Sono state condizioni particolari, ora voglio ripetermi anche sull’asciutto».

Magari con un bel sole, di quelli da cui è abituato a farsi baciare mentre scala le marce in scooter da Nervi ad Arenzano, lui che ora come ora lo sanno tutti che è terzo, ma in realtà è sempre stato di Quarto dei Mille, il quartiere con lo scoglio da cui si parte solo per grandi imprese. Da Mille e una notte era invece il cielo sotto cui ha esordito in Moto 3 due anni fa, tra le dune di Losail, Qatar, e si raccontava in una bella intervista, la sua vita che sulla carta ogni adolescente appassionato di motori avrebbe voluto fare e alla rovente prova della pista quasi nessuno sarebbe riuscito a sopportare. Studiava agli Emiliani e poi al Sant’Andrea di Nervi, prima di andare a fare gli esercizi dall’altra parte della città lungo la Riviera. «Liceo scientifico-sportivo. Al mattino in classe, poi ad Arenzano a fare bici e palestra, la sera a casa a studiare. Non è semplice, quasi tutti i piloti si arrendono. Ma a me un giorno piacerebbe fare come Oliveira, il portoghese, che corre in MotoGP e riesce comunque a frequentare l’Università». Gli amici, nonostante la buona volontà, quasi un altro ostacolo sul percorso «Mi invidiano perché spesso non vado a scuola, e non capiscono quanto mi manchi. E poi, non esco quasi mai a divertirmi: mi invitano una o due volte, io sono costretto a dire ‘no, grazie’, e alla fine si stufano. Ma ne vale la pena, non c’è niente di più emozionante della velocità». A penare come purtroppo si conviene a quell’età anche il cuore, le ragazze si filavano solo quelli più grandi di lui, chissà ora che si è messo due anni sulle spalle in più e soprattutto ha appena acquisito tutto un altro spessore internazionale. Ciò che però era più difficile da tollerare è aver costretto i i genitori, e magari anche le due sorelle, a scarrozzarlo in giro per il mondo, a profondere sforzi importanti per permettergli d’inseguire a tutta velocità il suo grande sogno.

Ora però tutte le promesse sono mantenute. Già ha incontrato il suo più famoso omonimo, con cui è capitato di correre nel ranch di Tavullia, praticamente il Sancta Sanctorum della Moto GP. Una famigliarità che non gli impedisce di emozionarsi ogni qualvolta che s’imbatte nel Dottore. Eppure, nonostante l’ottima qualifica, l’avvio non è stato favorevole e anche questo pieno successo sembrava dovesse sfumare: «All’inizio ero vicino a Sergio [García] ed a Filip [Salac], ma ho commesso alcuni errori alla seconda curva. Sono passato in terza marcia due volte e non so perché, ero molto nervoso. In quel momento ho perso tanti secondi», poi però si è ritrovato ed è riuscito a imporre il suo ritmo, come il bravo nocchiere che dal nulla riesce a scavare un sentiero nel nubifragio e a prendere forza dalla furia dei venti per liberare tutta l’agile potenza del mezzo affidato alla sapienza delle sue dita. Quindi il momento decisivo, quello che fa la differenza tra farsi rovesciare dai flutti del destino o invece dominarli sino a che non prendono a scorrere mansueti come una goccia d’olio: «Ho visto che McPhee si avvicinava sempre di più, ho spinto ma era arrivato ad un secondo. Volevo quel podio, quindi all’ultimo giro mi sono detto che o cadevo o ce la facevo. Ho dato il massimo ed è arrivato anche il giro veloce!»

È arrivato gridando al paddock e al mondo “Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta!”. E lo ha ammesso: «Ora so che posso farlo: quando le cose vanno male perdi sicurezza, mi serviva». Ora che ha sorpreso tutti compreso sé stesso ed escluso i due che lo conoscevano meglio, è tempo di navigare a vista, ovvero sotto gli esigenti occhi del grande pubblico. In fondo, partito da Quarto e subito terzo, non ci vuole molta fantasia a individuare le prossime mete all’orizzonte.

Federico Burlando

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