Tim Inclusion Week: un pieno di emozioni con Occupy Albaro

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La sala della nuova TIM Academy di Genova (nella sede storica di Via Manuzio) è tutta gremita. La quarta edizione della TIM Inclusion Week, settimana ricca di iniziative rivolte ai dipendenti per diffondere la cultura dell’equità e dell’inclusione, è un successo.

L’obiettivo (centrato) è quello di stimolare il dibattito sulla valorizzazione delle diversità insieme a rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni, del mondo accademico, culturale e dello spettacolo.
Tra gli interventi prestigiosi di Sara Rattaro, Cinzia Alibrandi e Giovanni Filocamo, c’è stato spazio anche per una giornata dedicata a Genova e al crollo di Ponte Morandi. Una bella occasione, coordinata da Stefano Marchi, per conoscere l’attività dell’associazione “Occupy Albaro” che i dipendenti TIM hanno sostenuto con una lotteria interna, ma anche per scoprire come l’azienda sia stata vicina alle realtà produttive colpite dal tragico evento e, momento intenso ed emozionante, rileggere gli eventi legati al crollo grazie allo scritto di una giovane volontaria di Occupy Albaro che vi proponiamo integralmente qui in calce.

Chiara Uslenghi ha raccontato la “case history” dell’impresa di costruzioni Teknika, diretta dal Geom. Fabbri, che ha dovuto lottare per vedere ristabilità la piena attività della sua Azienda dopo il crollo di Ponte Morandi. Un intervento “non convenzionale” di TIM che ha avuto uno straordinario impatto sul territorio.
In rappresentanza del Municipio V Valpolcevera è intervenuto il consigliere Marco Briganti, con una accurata ricostruzione delle difficoltà e della vita oggi nella zona colpita dal crollo.
Tito Gherardi, a nome dell’Associazione Occupy Albaro, ha illustrato il progetto di assistenza a domicilio per anziani e bambini che abitano nel territorio adiacente a ponte Morandi, messo a punto in collaborazione con la ASL 3: primo esempio di collaborazione pubblico/privato resa possibile grazie agli oltre 40 mila euro raccolti con l’evento “Pronti, al Pesto, Via!”

Poi la lotteria, i primi, il contributo di 1.500 euro donato dai TIM grazie ai suoi dipendenti all’Associazione. Ma soprattutto l’emozione per le storie legate al tragico crollo, raccontate da Francesca Manfreddo, ventunenne volontaria di Occupy Albaro. Ecco il suo elaborato. Tutto da leggere!

Genova, 14 agosto 2018
di Francesca Manfreddo

Un rumore sinistro e poi un silenzio assordante. Succede tutto in pochi istanti quando la lancetta dell’orologio si ferma allo scoccare delle 11.36: c’è chi riceve un messaggio, chi una chiamata, chi, invece, vede la vita passare davanti a sé in un attimo di eterna paura. Un tuffo nel vuoto e la forza di gravità, che ci tiene con i piedi ben ancorati al terreno, ancora una volta rispetta le leggi della fisica: quando la terra crolla, capisci che la vita sta finendo. Questa volta però sotto i piedi c’è un ponte, un ponte che si spezza senza poterlo sorreggere per tenere in vita le persone. È proprio in queste situazioni che vorremmo ritrovare l’ingenuità dei bambini e sperare che da un momento all’altro arrivi un supereroe che “prenda” con le sue mani quel braccio di cemento e con i suoi superpoteri rimetta tutto in ordine. Ma la vita non è così; non ci sono supereroi fantastici come quelli che tanto sognavamo di diventare quando eravamo piccoli e non ci rendiamo conto della tragedia finché non vediamo con i nostri occhi quel cumulo di macerie e quel che rimane di un ponte che tutti abbiamo percorso centinaia, migliaia di volte. Restano solo le macerie, le nostre lacrime e quelle della pioggia che sembra compatire il dolore e la tragedia versando infinite e potenti gocce sulla nostra città.

Non ce ne rendiamo conto, ma c’è chi ha perso tutto; c’è chi ha visto il suo futuro sul filo del rasoio, ma proprio grazie a diversi “fili” ha potuto continuare a credere, credere nelle persone, in chi, nonostante fosse in vacanza, si è dato da fare per aiutare la ditta “Teknika” che ha perso la speranza, una ditta che con il crollo del ponte ha visto la sua fine con lo spezzarsi di tutti i cavi che le davano una connessione potente e stabile.

Come si può ridare connettività a questa azienda? Tre persone come tre sono le lettere dell’azienda che agisce: TIM! Non sembrano esserci soluzioni possibili per un danno così grande, ma a un tratto la pazienza di una donna che non smette di rispondere al telefono, l’idea di un uomo ritenuta inizialmente impossibile da attuare e infine la forza di volontà di un collega che crede e supporta l’idea, creano qualcosa di straordinario. Allora, l’incubo si trasforma in speranza, la speranza in realtà.

Quindici giorni in cui si lavora senza sosta, in cui un progetto travolgente prende vita e con un armadietto riciclato e molteplici cavi si riesce a ridare connettività a un’azienda che aveva smesso di sperare. Un apparato di recupero posto a una distanza ravvicinata dall’azienda, un alimentatore e la corrente dell’Enel e il gioco è fatto. Raccontato così può sembrare un lavoro banale, ma in questa impresa non c’è niente di semplice: le chiamate senza sosta, i messaggi quotidiani e il coraggio di fermarsi per pensare a una soluzione di emergenza perché non dimentichiamoci che la difficoltà di questo progetto era quella di andare oltre le barriere naturali senza infrangerle; di andare oltre le costruzioni dell’uomo senza distruggerle. La soluzione c’era, ma era difficile da trovare e poi, come in tutte le cose, quando smetti di pensare, ti si presenta davanti agli occhi in un’area dove vengono stoccati  gli apparati dismessi, proprio lì davanti un armadietto e c’è chi ha avuto la volontà di guardare oltre, di aprire quell’armadietto, di creare un puzzle di cavi al suo interno e donare un sorriso a chi stava vivendo nello sconforto. Un esempio per l’oggi e per il domani a livello di emergenza e di etica.

È vero che noi genovesi siamo talvolta introversi e siamo affezionati al nostro mugugno, ma abbiamo un grande cuore. Con un grande cuore, instancabili e generosi, si sono dimostrati i volontari di “Occupy Albaro”: un gruppo nato su Facebook per gioco e che si è trasformato oggi in un’iniziativa che fa del volontariato il suo scopo principale. Albaro non ha sentito il crollo del ponte, il suo rumore assordante, non ha percepito la paura del vuoto, non ha dovuto abbandonare la propria casa, non ha perso il suo lavoro eppure ha sentito un rumore nel cuore; un rumore silenzioso e poi un vuoto dentro. Albaro ha chinato il suo volto, è stato in silenzio, immobile, incredulo, poi ha alzato lo sguardo e ha organizzato vari progetti per fornire assistenza medica e pediatrica a domicilio per anziani e bambini che risiedono oltre il ponte. Diverse iniziative, ma la più rilevante e proficua è stata la cena di beneficenza “Pronti…al pesto…via!!” dove la partecipazione di volontari e commensali ha prodotto un ricavato che ha superato di gran lunga le aspettative.

Che siano trofie al pesto, cavi per la connettività o qualsiasi altro filo conduttore, Genova si è unita e non solo perché il pesto accomuna i genovesi o perché i cavi ci mettono in contatto l’uno con l’altro, ma perché i genovesi in una città divisa da eterne eterogeneità e incomprensioni hanno dimostrato che tutte queste diversità, differenze in realtà non esistono. Certo, ognuno ha le proprie passioni: c’è chi è genoano e chi sampdoriano, c’è chi ama la riviera di ponente e chi quella di levante; c’è chi ama il pesto e chi il toccu, ma tutti, proprio tutti i genovesi amano la loro città perché è unica nella sua incredibile semplicità, perché ce ne innamoriamo ogni giorno, perché molti vanno via, ma poi tornano perché si respira un’aria diversa, profonda, essenziale, natale. Così, ancora una volta, Genova si è dimostrata unita nell’affrontare una tragedia che sarà difficile da superare, ma insieme sicuramente si riuscirà ad aiutare chi vive ogni giorno, ancora adesso e ancora per molto, le difficoltà che questo disastro ha causato.

Ricordiamoci sempre che il bene che facciamo oggi è l’esempio che porteranno con loro gli adulti del domani; il valore che diamo a noi stessi e agli altri è fondamentale perché valore non è escludere per sentirsi superiori, ma includere per sentirsi uguali.

E allora ci poniamo una domanda: “È meglio vivere nel ricevere o ricevere nel donare?”

Non può che essere una sola la risposta: “Vivere nel ricevere è bello; ricevere nel donare è gratificante!”

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